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Il gioco
di Beppi Menozzi
Il gioco è la grande droga degli ultimi decenni di questo secolo.
Altro che eroina o ectasy!
Quando, sconfitto dalle distorsioni della burocrazia, dal grigiore
dell'asfalto e dalla noia delle discoteche, un cittadino di questo
secolo si rende conto di quanto possa fare una serata a giocare con
gli amici, non può che finire poi irrimediabilmente in qualche
tetro circolo a perdere occhi e mente fra giochi di carte, di
società, di meditazione, di ruolo!
Scappate da questa minaccia voi che ancora potete!!!
Scherzi a parte, voi tutti potete notare quanto le sorti del gioco
siano legate all'andamento economico del mondo e dalla sua
organizzazione sociale.
In tempi antichi i giochi erano prevalentemente appannaggio di
imperatori, duchi, re, papi, nobildonne, feudatari; il popolo comune
non aveva tempo di dedicarsi al gioco, e non è un caso che i
pochi giochi "popolari" pervenutici dall'antichità siano
estremamente semplici (mi viene in mente il calcio toscano, il giro
dell'oca, pachisi...): non solo l'istruzione, ma anche e soprattutto
il tempo non erano sufficienti al popolo per passatempi di un certo
livello.
Solo alcune società, forse meno dedite alla competizione interna
o più legate a filosofie rilassanti, sono state in grado di
diffondere il gioco ad alto livello nella popolazione (sebbene solo
in parte): è il caso di awele, del go.
Oggigiorno istruzione e tecnologia (nonchè purtroppo la
disoccupazione) permettono invece a tutti di cimentarsi nei giochi
che più gli aggradano.
Vorrei ora parlare di un aspetto che trovo fondamentale nei giochi:
la competizione.
Il gioco infatti può essere un semplice modo per passare una
serata diversa per molti di voi, ma non per quei pochi drogati, tra
cui vi sono purtroppo anche io, che vedono nel gioco una vera forma
di competizione incruenta.
Nella maggior parte dei giochi che permettono una forma di competizione
(escludendo quindi quelli troppo aleatori e quelli troppo semplici)
l'esperienza gioca un ruolo fondamentale.
L'intelligenza di ognuno, d'altronde, è risaputo essere
soprattutto la capacità di saper sfruttare la propria
esperienza, i propri errori.
È quindi sensato mettere di fronte ad un gioco di pura
intelligenza due persone con diversi livelli di esperienza?
Un principiante di scacchi è forse meno intelligente di un
giocatore più esperto?
Se vogliamo fare una gara di esperienza possiamo allora enumerare
il numero di partite giocate da ognuno e avremo sùbito il
risultato del torneo.
Non reputo molto sensato il risultato di una partita di Othello,
ad esempio, alla quale partecipano giocatori che non hanno mai
visto una scacchiera, contro altri che conoscono un po' di strategia,
o altri che hanno dedicato molte ore allo studio.
È invece sensato mettere di fronte giocatori con uguale
esperienza: la massima possibile o la minima possibile.
Ognuno di noi ha un limite fisiologico, un massimo oltre il quale
non riesce ad andare, e, mettendo contro giocatori che hanno raggiunto
tale limite, un torneo comincerebbe ad avere un certo senso: ad
esempio un torneo fra Maestri di scacchi.
Ma c'è un altro modo di giocare che io trovo essere divertente
e stimolante, quello ad esperienza nulla: come si comportano giocatori
diversi di fronte a giochi dalle regole completamente nuove?
I Giochi Strani, un torneo ideato da me e
realizzato da Paolo Fasce, aveva proprio questo scopo: ogni giocatore
riceve le regole di un gioco mai visto prima (strano, appunto...) e
non ha materialmente il tempo di elaborare alcuna strategia.
Anche in questo modo gli avversari sono in parità, come nel
caso dei Maestri di scacchi.